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Il titolo accattivante introduce il tema trattato dal professore Michele Boldrin, Joseph G. Hoyt Distinguished professor of economics alla Washington University di Saint Louis, nel webinar organizzato dall’associazione Genitori e Figli. L’economista, tra i più noti e apprezzati all’estero, ci ha aiutato a comprendere, a partire dal bilancio, come lo Stato italiano usa i nostri soldi.

Mai fidarsi delle frasi a effetto

Una manovra da 30 miliardi, si annuncia un drastico taglio alla spesa pubblica sono due frasi che tante volte abbiamo sentito, magari anche con una certa ansia, ma che il professore Boldrin ci ha rivelato non avere fondamento. Le spese discrezionali sono ben poca cosa rispetto alle spese strutturali, che sono frutto di leggi con valenze pluriennali. Questo tipo di spese predefinite, come l’ammontare le pensioni, i salari dei dipendenti pubblici o gli scatti di anzianità, hanno vita propria. Come destreggiarsi? Occorre aver chiaro chi-spende-cosa e chi decide. Ritornando agli esempi di prima, una manovra da 30 miliardi è ben poca cosa rispetto a un totale di 860 miliardi, mentre i tagli della spesa pubblica, annunciati ormai da 20 anni, sono quasi sempre stati riduzioni della crescita prevista.

L’INPS è una spesa?

A partire dalla distinzione tra ciò che viene chiamato spesa pubblica e il totale delle spese che passano attraverso le branche dello Stato, Boldrin ha fatto chiarezza. L’INPS non crea spesa pubblica, i 400 e oltre miliardi che gestisce vengono da trasferimento, perché sono risorse che l’INPS raccoglie e trasferisce a chi è senza lavoro o in pensione. Anche il reddito di cittadinanza è un trasferimento, non è spesa pubblica. Quando l’INPS è in deficit vuol dire che quanto ha raccolto dai produttori di reddito dell’anno è inferiore a ciò che è stato trasferito nello stesso anno. Il debito si copre chiedendo allo Stato di trasferire le risorse, che poi sono i risparmi accumulati che i cittadini stessi prestano allo Stato.

Dove si dovrebbe spendere

Limitarsi a giudicare il bilancio solo dai valori nominali, ovvero quanto spendiamo per esempio per le pensioni o il servizio giudiziario o per la polizia, non è sufficiente e può essere fuorviante. Il perno della questione è capire come vengono spesi i soldi, il grado di efficienza, la quantità di beni e servizi che si ottengono dalla spesa. A partire da questa considerazione, Boldrin ci ha accompagnati a chiarire la maniera in cui si calcola il contributo dello Stato al PIL nazionale, che è ben diverso dal settore privato. Il contributo dell’insieme del sistema pubblico al benessere nazionale consiste in quella parte della spesa pubblica destinata a produrre beni e servizi pubblici, come l’insegnamento o il sistema giudiziario, che non hanno però dei prezzi di mercato. La valutazione viene quindi fatta a costo, in base al valore dello stipendio, per esempio, dell’insegnante o del funzionario. Il contributo al PIL risulta quindi essere un dato “parziale”, ecco perché i confronti vanno fatti con molta cautela.

Una conclusione che mette in guardia le giovani generazioni

L’economista ha concluso con una slide significativa dove si sottolinea che l’Italia è oggi tra i 5 Paesi al mondo con l’ammontare della spesa pubblica più elevato. Vuol dire che tassa e spende molto, al pari dei Paesi in cui il grado di soddisfazione tra persone e Stato è maggiore e il reddito è più elevato. Inoltre, l’Italia ha una composizione della spesa pubblica particolarmente “sbilanciata” verso i trasferimenti a sfavore degli investimenti produttivi.
A seguito di una domanda c’è stato un interessante approfondimento sul sistema pensionistico: su 60 milioni di italiani, 18 ricevono la pensione che viene conteggiata sugli ultimi stipendi (e non sull’intera vita lavorativa), molti sono stati i pensionamenti giovani, anche a 55 anni.

Una realtà, afferma Boldrin, che avrà un effetto drammatico sulle persone che hanno ora dai 20 ai 40 anni.

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